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venerdì 21 gennaio 2011


Prostituirsi è un verbo declinabile in molti modi differenti. Storicamente ha subito accezioni molto diverse, a seconda del ruolo sociale della donna (e dell’uomo) e della pratica sessuale a pagamento.
Si dice sia il mestiere più vecchio del mondo ed, essendo tale, ha mutato forma e ruolo culturale molte volte, specchio di cangianti culture.
Quando non ero ancora adulta e per un periodo anche da tale, consideravo la maggioranza delle prostitute costituita da povere ragazze, per lo più extracomunitarie, sfruttate o costrette alla vendita del loro corpo per esigenze vitali: pagare lo sfruttatore, estinguere il debito contratto per l’accesso all’Italia, mangiare, pagare un affitto, mantenere un figlio.
La prostituta esercitava per strada, pativa il freddo, veniva picchiata, vestiva male, non era neanche particolarmente bella. Le persone che la vedevano soffermarsi sotto la propria casa ad esporsi al passante telefonavano ai carabinieri che giungevano rapidamente a portarla in questura insieme alle colleghe, trattata come relitto sociale, segnalata e poi rilasciata al suo mondo misero.
Ora ci insegnano, invece, che la prostituta è libera, ricca, che veste abiti ed accessori di lusso, che è acclamata in pubblico, accolta dal mondo dello spettacolo e da quello politico, ospite di cene accanto a personaggi del jet-set e a soggetti a lungo incarico istituzionale.
La vediamo uscire ed entrare dai locali, assediata dai giornalisti, sfilare in questura su tacchi gucci, esibirsi in caserecci porno-pronostici fotografici fiera delle sue unghie laccate.
La mercanzia è sul banco, in tutto il suo dorato splendore.
Tutto questo certamente a beneficio di un uomo, di un imperatore del denaro che, grazie a quel denaro, è divenuto sovrano mediatico ed ha ottenuto lo scettro del consenso e della reggenza politica. E lui, che è l’utilizzatore finale, il sommo consumatore, paga come ritiene: in denaro, in gioielli, in licenze, in seggi regionali ed europei, in ministeri.
Quanto ancora manchi alla sua agognata uscita di scena è difficile da prevedere e riduce ad una maccheronica vicenda personale una questione ben più grande e longeva dell’esistenza stessa dell’imperatore.
La donna è libera merce che veicola potere e denaro, consapevole e volontaria, prodotta con velleità di fama e di lusso a portata di mano, scelta, agghindata e proposta al mercato che, felice, la fagocita e ne chiede ancora. Nei letti, nei party, negli show, sui cubi. E ancora se ne produce e se ne riproduce, seriale e vagamente diversificata per la più ampia fascia di capricci esistente. Un esercito di bambole sorridenti di tutti i colori, che non rischia di sminuire l’orgoglio di uomo che il favore femminile a pagamento poteva un tempo minacciare, quel favore femminile che ha perso, assieme al ruolo della donna nella sua interezza, qualsiasi unità di peso specifico.
Questo oggi è, vista da giusta distanza, la donna italiana. E che lo sia è reso evidente da una serie talmente ampia di fattori da rendere quasi invisibile il numero nutrito di donne che rifiuta e smentisce tale triste asserzione. E, sebbene il bramato passaggio dalle mani dell’insignito omuncolo di turno sia già di per sé immensamente riduttivo per la donna in questione, nulla lo è più dello scopo finale.
La legge italiana prevede, fra le aggravanti a carico di chi ha commesso un reato, il futile motivo.
Sarebbe da dibattere, in questo caso che pur non costituisce reato, quanto sia futile lo shopping in Corso Buenos Aires, qualche comparsata a Domenica 5 e un paio di ruoli da guest star nei club milanesi e nelle discoteche romagnole.
Per quanto riguarda i fattori accennati, il rinnovo del consenso costante all’imperatore, che lascia attonito il resto del mondo, la simpatia che gli si attribuisce, la tipologia di presenze femminili pidielline in Parlamento e ai vertici delle Amministrazioni, l’impunità mediatica di fatto, l’assoluzione che spesso si tramuta in negazione, l’aspirazione di tanta parte di giovani ancelle a divenire, per le medesime vie, la Noemi, Patrizia, Nicole, Ruby di turno e, dall’altro lato, la semplicità maschile di concordare quasi unanimemente che, disprezzabile o meno l’uomo per i vari trascorsi, scemo non è, potendoselo permettere, ad attorniarsi di cotanta gradevole gioventù prezzolata, sono cartine al tornasole di un Italia da sottoscala.
In effetti il vago ottimismo che in questi giorni riscalda  timidamente coloro che osano sperare nella dipartita politica (e persino in una conclusione personale non troppo piacevole) dell’imperatore del cattivo gusto, ha poco di che prosperare.
Berlusconi, che sia oggi o che sia tra anni, lascerà l’Italia nell’involuzione sociale e culturale in cui l’ha trascinata in questi sedici anni di potere e in questi venti di televisione.
La sua capacità mediatica che ha del paradossale, è riuscita a modificare radicalmente l’identità di un Paese e di chi lo vive, cogliendo un nuovo venticello che aleggiava confuso tra nuovi patinati bisogni alimentati da un maggiore benessere capillare e l’allargarsi della visuale globale verso un mondo, quello americanista, pieno di attraenti nuovi colori.
E con un’operazione innegabilmente mirabile è riuscito a creare il nuovo italiano, come un novello Dio, plasmandolo a sua immagine e somiglianza. Un Adamo che lo guarda come esempio brillante di successo, icona rappresentante di quel mondo tutto da scalare di cui gli sono state spalancate le porte. E, come ad un Dio si intestano preghiere, così a lui si cantano inni, si destina amore, si crede per fede anche dinanzi alla scientificità dei fatti.
Mai come oggi, che tocchiamo da vicino l’ipotesi della fine dell’uomo, abbiamo potuto dare una sbirciatina a quello che ci attende alle sue spalle. E mai come oggi chi, come me, attendeva speranzoso la conclusione dell'inesauribile potere Berlusconi, aspettativa che trovava costante linfa nell’età avanzante dell’imperatore, può rendersi conto che la lotta da ardua sta per divenire impari e che il berlusconismo, iniettato sotto la pelle di questo Paese, è pestilenza ben più preoccupante dell’uomo di Arcore, delle sue mafie e delle ancelle che ne popolano il castello.
S.



venerdì 3 dicembre 2010

La mia pausa pranzo di oggi, spesa più o meno proficuamente tra letture in giro per il web, mi ha portata alla scoperta di una tesi interessante.
Per quanto nel calderone degli studi psicologici e comportamentali, a mio modesto parere, confluiscano molto spesso (non ho detto sempre) fesserie di alto spessore e nonostante anche questa nuova tesi sia quantomeno dubbia, nel caso specifico leggerla mi ha resa felice, come è felice chi dopo lunga applicazione riesce a risolvere il cubo di Rubik (va bene che al momento va di moda insieme alle sue satiriche mutazioni, ma resta pur sempre un classico dei giochi rompicapo).
Comunque, arrivando al punto, secondo un recente studio di alcuni ricercatori della Facoltà di Psicologia dell'Università di Norfolk, in procinto di essere pubblicato sulla prestigiosa (pare) Psychology Tomorrow, la “dissonanza cognitiva” (per chi come me andrebbe di wikiPEDIA, tale dissonanza è uno dei concetti su cui si basa la psicologia sociale e che, in sostanza, altro non è che l’apparente incoerenza tra i propri comportamenti e i valori e modi di pensare che dovrebbero esserne alla base), sarebbe un fattore fortemente condizionante anche nelle scelte politiche degli individui, in particolare in vista di una consultazione elettorale.
In parole povere, dopo aver a lungo studiato statistiche e dichiarazioni frutto di interviste e di questionari fatti compilare anonimamente ad un campione di 3500 soggetti distribuiti per età, sesso, livello di istruzione, condizioni sociali ed economiche, l'elettore non estremamente radicato ideologicamente (loro sembrerebbero vittime – ahimè – di preconcetti e altre cosette del genere, anche se gli si riconosce una maggiore partecipazione alla vita politica e sociale), e non particolarmente informato e desideroso di esserlo, ha dimostrato la tendenza molto preponderante a mantenere comunque l'intenzione di votare il proprio candidato o partito anche di fronte a palesi inadeguatezze dello stesso.
«Supponiamo che un cittadino abbia dato la sua preferenza a un determinato partito» ha spiegato Julia Foster, team leader del gruppo di ricerca, «e supponiamo che dopo qualche tempo un gruppo di dirigenti di questo partito, ovvero il suo leader, vengano pubblicamente coinvolti in gravi questioni che mettano in fortissimo dubbio la moralità e i principi che hanno animato e animano l'operato pubblico di queste persone» (ipotesi surrealistiche, diciamo), «i cui discutibili comportamenti possono essere andati anche a detrimento degli elettori stessi» (finanche fantascientifiche, insomma).
Ebbene, una volta impegnatici a supporlo, potremo essere informati da questo studio documentato che «una percentuale superiore al 55% di chi li ha votati in passato, tende a trovare giustificazioni che portano i soggetti a confermare la loro preferenza ai medesimi partiti o candidati anche alle elezioni successive alla scoperta degli scandali.» Oh bella!
«Questo è un esempio tipico di dissonanza cognitiva, ancorché applicato in un ambito ancora poco studiato, che meriterebbe maggiore attenzione» ha continuato Charles Witt, assistente e dottorando. Ma il Doctor Witt ci spiega ancora meglio la faccenda: «il riconoscimento della palese inadeguatezza del candidato cui dovrebbe conseguire la modificazione della propria intenzione di voto, coinciderebbe con il riconoscimento dell'inadeguatezza del soggetto nella scelta del candidato stesso, soprattutto se c’è stata in passato e magari c’è ancora  svogliatezza o poco interesse ad informarsi e ad entrare nel merito della vita politica e sociale del proprio Paese. E questa reazione tende ad essere istintivamente rimossa alla radice per difendere l'elettore dal sentirsi vittima di un senso di ottusità nei confronti di sé stesso, un sentimento autoreferenziale di stoltezza o di vergogna per la propria “ignoranza” o superficialità, tanto più forte, quanto più gravi sono le situazioni in cui sono incorsi i politici in questione.
Se poi in occasione del precedente voto aveva preso parte a discussioni con persone di parere opposto al suo, difendendo apertamente il partito o il candidato scelto, difficilmente ammetterà l’errore o dichiarerà una preferenza contraria, convincendo anche sé stesso in questo senso.»
Dopo aver letto questa notizia, ho compreso di essere anch’io vittima di una dissonanza cognitiva: sebbene sia istintivamente portata a dubitare dell’affidabilità di questo postulato, incoerentemente voglio convincermene e infine me ne convinco.
E con questa convinzione e con l’orgoglio di aver compiuto un gesto di grande generosità e di chiara compassione verso il mio Paese e chi lo popola, mi rimetto a lavorare.
Eppure, un forte sospetto mi distrae ancora: non è che mi avranno preso in giro e che la team leader del gruppo di ricerca in questione si chiama in realtà Giulia Adottivo?
Quella sensazione di felicità scompare in un istante e lascia il posto ad un senso di raggelante umiliazione.
Dio mio, speriamo che nessuno venga a sapere che mi sono fatta infinocchiare dalle parole di una ricercatrice di sinistra contro il ddl Gelmini!
S.

venerdì 24 settembre 2010

Che ormai in Italia il potere economico ed il suo potenziale siano in grado di comprare giornali, amministratori, controllori, dirigenti ed esponenti "intelligenti" è diventata ovvietà quotidiana. Però ancora mi chiedo come abbia fatto a comprare quel popolo italiano a cui sono stati rubati democrazia, benessere, futuro e moralità.
Se un cittadino europeo si trovasse improvvisamente a vivere in Italia probabilmente si convincerebbe di essere stato catapultato nella trasposizione cinematografica di un libro di Philip Dick. Certamente c’è chi, fuori dal nostro piccolo staterello, si interessa di noi, incuriosito da questa piccola (pen)isola di soldatini della libertà che marciano sui tacchi a spillo alle spalle del signore dalle lunghe mani e dalle tasche profonde.
Eppure l’Italia non era così, un tempo. Non che il processo di involuzione sia cominciato con Berlusconi, ma certamente è con lui che ha avuto un’impennata drastica e risolutiva verso il baratro.
Sono esistiti, in altri tempi e in altre zone del mondo, personaggi che hanno governato con le chiavi della verità e della democrazia in mano, dopo averne ben serrato le porte a tripla mandata. Popoli sono stati piegati dalle leggi della propaganda imposta, costruita e distribuita negli argini della censura, dalla violenza esercitata o minacciata, dalla follia di un progetto tirannico creato e posto in essere grazie alla negazione della libertà di pensiero e del potere decisionale. Il resto del mondo, che stava a guardare, gridava al tiranno, alla negazione della libertà e dei diritti umani, minacciava interventi e qualche volta li progettava persino. Organizzava crociate, impegnava eserciti liberatori e infine puniva il cattivone, rimpinzando l’elenco dei diavoli nei libri di storia.
Sarebbe bello, un giorno, vedere portar via il Cavaliere in manette e sentire nelle televisioni, almeno qualcuna di esse, l’ accento straniero di qualche soldato gridare: Italiani, siete liberi!
Ma questo è un sogno e come tale va preso, esattamente come immaginare di vincere al superenalotto. L’Unione Europea ci richiama, ci intima di sistemare qualcosina, ci inserisce negli ultimi posti degli elenchi dei Paesi che rispettano libertà e democrazia, mette i suoi Ministri a litigare con il nostro capo sornione e resta a guardare un popolo che agita i pon pon e canta inni celesti nei pullman.
Eppure l’Italia non era così, un tempo. Un tempo il secondo scalino non si sarebbe salito, un tempo italiani di destra e di sinistra sarebbero insorti davanti alla compravendita di ogni pezzettino dello Stato, della penna dei giornalisti, degli occhi dei controllori, delle firme degli amministratori, delle delibere dei dirigenti, persino della voce dei sostenitori. Ma il grande merito del Signore è stato quello di creare uno sterminato terreno adatto, iniettato di fertilizzanti, prima di piantare l’insalata marcia. Canale cinque, rete quattro e Italia uno si sono divise il compito di impollinare e far nascere i nuovi italiani, corredati dai loro nuovi modelli, sogni e progetti: soldi, potere, fama e quant’altro, a discapito di qualsiasi altra cosa. Le nuove generazioni e la parte rivisitata delle vecchie, quindi, hanno lentamente visto nascere e svilupparsi il nuovo modello vincente politico, economico, personale e, soprattutto, mediatico. E nulla è più inaccettabile su queste basi, perché è tutto in fondo coerente e strutturale alla crescita del modello a cui si aspira.
Abbiamo scoperto che il nostro capo ha corrotto magistrati, attraverso personaggi  a lui molto vicini. Abbiamo poi potuto notare e verificare abbondantemente che tutta la sua attività politica è incentrata sull’ideazione e la messa in opera di leggi atte, neanche troppo occultamente, a salvaguardare la propria libertà e gli interessi economici legati alle proprie aziende. Poi siamo stati informati delle sue tendenze all’utilizzo di compagnie di donne prezzolate, sia come proprio hobby personale, sia in veste di cadeaux, inventando di fatto un nuovo tipo di bustarella più aggraziato e meno pericoloso del classico. Poi siamo stati anche informati delle sue telefonate minatorie a dirigenti e funzionari vari, atte a impedire l’andata in onda di trasmissioni a lui politicamente sfavorevoli o a muovere decisioni di consigli di amministrazione favorevoli alla salvaguardia della propria persona, distruggendo di fatto la libertà di stampa e di informazione. Poi siamo stati informati delle attività commerciali dei suoi collaboratori impegnati ad acquistare la partecipazione di materiale femminile idoneo alle feste di piazza e alle manifestazioni elettorali, coerentemente con la gran parte dei propri format televisivi. Poi siamo stati informati delle condanne inflitte ai suoi collaboratori per corruzioni miste, stranamente a favore di Berlusconi: potere della generosità.
Mi fermo qui, consapevole del fatto che tutti siamo a conoscenza di tutto e che l’elenco, alla fine, resta un’inutile perdita di tempo quando la volontà è quella di ignorare, negare o contestare i fatti.
Ecco, ieri la Stamperia di Stato di Saint Lucia ha negato che il documento che indicava Tulliani come proprietario del famoso appartamento sia mai uscito dai propri uffici. Ha anche negato che quel documento ci sia mai stato, nei propri uffici. Ha, insomma, dichiarato che si tratta di un falso. Noi ne siamo stati informati, siamo quindi stati informati (nuovamente) che la campagna antifiniana ad opera di Berlusconi, del Pdl tutto e dei giornali di area, utilizzi qualunque arma legittima, illegittima, immorale, politica, economica e di qualsiasi altro tipo sia utile, per distruggere il nemico politico di turno.
No, non è una novità come non sarà una novità il fatto che Libero ed il Giornale possano continuare a costruire una campagna mediatica falsa e denigratoria verso qualcuno che mette i bastoni fra le rotelle del Presidente senza essere né richiamato né tantomeno radiato dall’albo dei giornalisti. E non è certo una novità che il Presidente del Consiglio del nostro Paese usi la menzogna e la corruzione per vendere al suo pubblico la storiella nella quale lui, uomo retto, simbolo del fare e dell’amore, viene ancora una volta bersagliato da un nuovo nemico, questa volta addirittura serpe in seno, che gli impedisce, insieme all’Opposizione e ai magistrati di sinistra, di compiere il suo dovere di agire nell’interesse dell’Italia e degli italiani.
Ciò che mi sorprende in tutto questo, però, è il mio stesso sorprendermi nel constatare che neanche questo è sufficiente per questo Paese e per questo popolo ad innescare l’esplosione senza ritorno; forse perchè neanche io ho ancora capito che non mi trovo in un libro di Philip Dick.
S.